Tutto è cominciato con un cassonetto

D’accordo, si sono visti incipit più promettenti. 

Il fatto è che anche quel cassonetto si rivelò subito molto promettente. 

Perché in un cassonetto uno si aspetta di trovare vetri rotti e cartoni puzzolenti, rifiuti alimentari e monnezza assortita, ma non lettere autografe di premi Nobel e quaderni di appunti del sincrotrone di Frascati. 

Quindi ora bisogna spiegare perché mai questi ed altri documenti fossero finiti nel menzionato cassonetto. 

Una parte della spiegazione consiste nel fatto che l’oggetto in questione si trovava sul retro del glorioso Istituto di Fisica dell’Università di Roma, Istituto in cui (e questa è la seconda parte della spiegazione) si stava consumando il rituale, che sarebbe improprio paragonare al funerale vichingo come solennità, ma che veniva eseguito con la stessa implacabile puntualità al momento opportuno, dello svuotamento degli studi lasciati vacanti dai docenti recentemente dipartiti (in senso lato: pensionati in fuga verso le Maldive o più propriamente defunti).

 La terza e ultima parte della spiegazione, che forse consente finalmente di capire di cosa diavolo stiamo parlando, è che qualcuno, passando dalle parti dello studio dell’allora promettente Gruppo di storia della fisica, avvertì gli occupanti di detto studio che si stava liberando l’ufficio di Bruno, e che forse valeva la pena di dare un’occhiata alle carte che stavano prendendo, e anzi in larga parte avevano già preso, la via del cassonetto. 

Bruno era Bruno Touschek, e anche se voi non siete tenuti a sapere chi era costui, noi invece lo sapevamo benissimo. Il brillante e tempestivo intervento dell’unità d’azione del gruppo, costituita dal prof. Mimmo De Maria e dal sottoscritto, permise così di ripescare lettere di Heisenberg e von Laue e altri papaveroni della fisica del secolo scorso, nonché un cospicuo malloppo di appunti, quaderni di laboratorio, disegni e manoscritti assortiti, mettendoli così sulla retta strada, quella che li riportava in istituto, e impedendo loro di prendere invece quella cui il rituale li destinava, dal cassonetto verso la definitiva incinerazione.

Nasceva così quella che ora viene pomposamente definita la sezione Archivi personali della biblioteca del Dipartimento di Fisica della Sapienza.

Le tappe successive della sua costituzione saranno sommariamente riassunte, senza indulgere in accurate descrizioni né di contenuti (documenti di varia natura) né di contenenti (cassonetti o altri luoghi di discarica). La prima fase vide un rapido accrescimento della collezione, verosimilmente dovuto al fatto che in dipartimento si convenne che il rituale dello svuotamento degli studi poteva essere celebrato più efficacemente ed economicamente delegandolo al gruppo di storia della fisica piuttosto che al personale addetto alle pulizie. In breve volgere di tempo, alle carte di Bruno si aggiunsero quelle di Enrico (Persico), di Marcello (Conversi) ed altri, fino al momento cruciale in cui fu consegnato nelle nostre mani l’archivio personale di Edoardo Amaldi. Che era molto ma molto più consistente di tutti quelli che avevamo raccolto fino ad allora messi insieme. Cominciò così la seconda fase, detta anche dei loculi. Il fatto è che, se anche le carte non prendevano più la strada del cassonetto, non era peraltro prevista per esse una specifica destinazione alternativa, e il vicolo cieco in cui quindi finivano per infilarsi ed impilarsi erano le nostre stanze, che cominciarono ad assomigliare sempre più, fino ad assumerne la veste definitiva quando le scatole verdi riempirono tutte le pareti ed arrivarono al soffitto, all’interno di uno dei depositi cimiteriali del Verano. Quando le esigenze di sopravvivenza degli occupanti di quelle (due) stanze e la dura legge dell’impenetrabilità dei corpi costrinsero le scatole d’archivio ad espandersi nei corridoi limitrofi, apparve chiaro che occorreva passare ad una terza fase, che potremmo definire del “grande balzo in avanti”.

Il grande balzo in avanti si sviluppò lungo due direzioni soddisfacenti e complementari. Da una parte, si trovò nei sotterranei della biblioteca una più idonea e dignitosa collocazione per la raccolta di documenti (che intanto continuava ad espandersi, per un verso a causa della fisiologica e inarrestabile dipartita di altri protagonisti, e per altro grazie al fatto che nel frattempo ci eravamo fatti una immeritata reputazione come centro di discarica, ragione per cui cominciavamo a ricevere da altre sedi e altri dipartimenti materiale vario altrimenti destinato in loco alla triste fine del cassonetto). D’altra parte, risultò evidente (o meglio, evidente era sempre stato, ma l’evidenza era ormai tale da imporre un’azione conseguente) che raccogliere carte vecchie non era di per sé operazione particolarmente meritevole, se non si metteva chi era potenzialmente interessato al loro contenuto in condizione di esaminarle per trarne fuori qualcosa di significativo. Insomma, tutta quella roba andava ordinata, classificata, schedata, o meglio, come abbiamo debitamente imparato arricchendo il nostro grezzo dizionario, inventariata. Ed è a questo punto

(direi verso l’inizio degli anni novanta, ma non pretendo di essere preciso sulle date, vado a memoria) che apparve sulla scena Memoria.

Prima con le sembianze di Emanuela, poi sempre più spesso (fino a diventare un incubo permanente) nelle vesti di Nicoletta. Grazie a loro, siamo passati dalla fase pionieristica del fai da te all’epoca del trattamento scientifico e professionale. Il cassonetto non c’è più. Adesso siamo passati alla raccolta differenziata.


Giovanni Battimelli